MILANELLO (Va), 16 febbraio 2008 - Pensate alla cosa che più vi piace. Immaginate di farla mille volte. Quanto tempo vi servirebbe per riuscirci? Molti anni, probabilmente. La prossima volta che scenderà in campo, magari già oggi a Parma (dovrebbe andare inizialmente in panchina), Paolo Maldini giocherà la partita numero 1.000 da professionista. Sono passati 8.427 giorni dal debutto: voltarsi indietro è l’inizio di un viaggio bellissimo.
Maldini, partiamo? “Partiamo. E penso subito alla domanda che più spesso mi fa Serginho: 'Quante notti in ritiro hai passato, Paolo?'. Davvero tante... La seconda riflessione è diversa: penso di essere stato fortunato a non farmi mai male seriamente, a giocare in un grande club, a essere spinto da un’enorme passione, a essermi divertito sempre”. Ha giocato 80 partite consecutive senza perdere: le capitava di sentirsi imbattibile? “Non la vivevo così, però l’imbattibilità era un motivo d’orgoglio e uno stimolo a dare qualcosa in più in ogni partita”. Al massimo ha subito quattro sconfitte di fila e festeggiato tredici vittorie consecutive. “Fa male anche una sconfitta singola, ma se penso alle 80 gare positive quella serie negativa passa in secondo piano. Vincere è sempre difficile, ecco perché mi sono goduto ogni successo”. Quale risultato pensa di aver fatto più spesso? “Direi 1-1, oppure 0-0”. Sono il secondo e il terzo. Il primo è la vittoria per 1-0. “Eh, abbastanza normale: non è facile fare gol e in alcune stagioni il Milan spesso vinceva per 1-0...”. Un 8-2, un 7-3, un 5-4: tutti successi in trasferta. “Erano giornate particolari, eccezioni soprattutto per i gol subiti: di solito eravamo molto più attenti”.
Maldini, partiamo? “Partiamo. E penso subito alla domanda che più spesso mi fa Serginho: 'Quante notti in ritiro hai passato, Paolo?'. Davvero tante... La seconda riflessione è diversa: penso di essere stato fortunato a non farmi mai male seriamente, a giocare in un grande club, a essere spinto da un’enorme passione, a essermi divertito sempre”. Ha giocato 80 partite consecutive senza perdere: le capitava di sentirsi imbattibile? “Non la vivevo così, però l’imbattibilità era un motivo d’orgoglio e uno stimolo a dare qualcosa in più in ogni partita”. Al massimo ha subito quattro sconfitte di fila e festeggiato tredici vittorie consecutive. “Fa male anche una sconfitta singola, ma se penso alle 80 gare positive quella serie negativa passa in secondo piano. Vincere è sempre difficile, ecco perché mi sono goduto ogni successo”. Quale risultato pensa di aver fatto più spesso? “Direi 1-1, oppure 0-0”. Sono il secondo e il terzo. Il primo è la vittoria per 1-0. “Eh, abbastanza normale: non è facile fare gol e in alcune stagioni il Milan spesso vinceva per 1-0...”. Un 8-2, un 7-3, un 5-4: tutti successi in trasferta. “Erano giornate particolari, eccezioni soprattutto per i gol subiti: di solito eravamo molto più attenti”.
Quale partita vorrebbe rivivere in campo per le emozioni che le ha dato? “La prima: sarà banale, ma è vero. Quel giorno a Udine (20-1-1985, ndr) ho cominciato a sentirmi parte del Milan”. Quale vorrebbe rivedere in tv? “Quelle in cui ho segnato il primo gol con il Milan, a Como (4-1-1987, ndr), e con la Nazionale, contro il Messico a Firenze (20-1-1993, ndr)”. Quale mostrerebbe a suo figlio Christian, che studia da terzino destro? “Quelle in cui ho fatto un recupero disperato: ero in netto ritardo, non ho mollato sperando in un piccolo errore dell’avversario e sono riuscito a intervenire. Mi è successo ad esempio con Totti in un Milan-Roma. L’insegnamento a non mollare è importante: a me è arrivato da Franco Baresi”. Quale regalerebbe in dvd a Berlusconi? “Milan-Steaua a Barcellona: la prima coppa Campioni”. Quale cancellerebbe? “Quella di Marsiglia, quando abbandonammo il campo. Mancava l’abitudine ad accettare la sconfitta”. Quale finirebbe sicuramente con un risultato diverso, se la rigiocasse? “La finale di Istanbul, che poi è stata tra le più dolorose ma anche tra quelle giocate meglio”.
Ha vinto sei partite per 6-0, ma tutti ne ricordano una... “Il derby, che poi era 0-6 perché giocava in casa l’Inter. Di quella sera ricordo il tabellone di San Siro e la faccia di mio padre in panchina: non era una bella stagione, ma il derby fu una grande gioia. Comunque non sempre è bello stravincere: in quella partita rispettammo l’Inter. Non è giusto fermarsi quando si vince 2-0 o 3-0, ma alla fine ti dispiace se il punteggio è così ampio”. Un solo 6-1 e molto doloroso. “Serata stortissima a San Siro contro la Juve: fino al 2-0 la gara era equilibrata e Peruzzi fece alcune grandi parate. Poi accadde qualcosa di inspiegabile...”. Quali sono le partite che ha giocato meglio e peggio? “Sono molto critico con me stesso, quindi scegliere la migliore è dura: forse Italia-Messico. La peggiore è altrettanto difficile perché spesso sono uscito scontento dal campo”. Da quale maestro ha imparato di più? “Liedholm: i suoi insegnamenti sono stati preziosi. Anche Vicini, Sacchi e Capello mi hanno dato molto. Poi, con l’esperienza e l’età, anch’io ho cominciato a dare qualcosa”.
Nelle vittorie di una squadra si possono suddividere i meriti in percentuale tra società, allenatore e giocatori? “E’ un giochino difficile e anche un po’ ingiusto perché le tre componenti devono lavorare in simbiosi. Ma alla squadra darei l’80% dei meriti”. Rispetto a 23 anni fa si arbitra meglio o peggio? “Di sicuro è un compito più difficile, perché il gioco è più veloce. Pensi solo al fuorigioco”. Qual è il fischio dell’arbitro che proprio non ha mai capito? “La mancata assegnazione del gol fantasma a Belgrado (10-11-1988, ndr): la palla era dentro di un metro”. Ha segnato 43 gol: pochi? “Sì, sicuramente. Mancanza di freddezza e imprecisione mi hanno impedito di segnare di più. Eppure le occasioni le ho avute...”. Il terzo tempo serve o è inutile? “E’ un’idea carina, intelligente, ma ci vuole tempo per farla assimilare. E’ giusto insistere e capire anche gli stati d’animo di chi non se la sente”.
Ha giocato 126 partite in Nazionale: a Cannavaro ne mancano 14 per raggiungerla. Le dispiacerebbe essere superato? “Un pochino sì, ma il grosso dispiacere è non aver mai vinto il Mondiale”. Qual è la cosa che vorrebbe fare mille volte nei prossimi anni? “Mi piacerebbe vedere mille partite dei miei figli: vanno bene anche 500 a testa...”. Si dice che lei potrebbe diventare il responsabile del settore giovanile del Milan. “Non ho ancora parlato con la società, ma non credo che sarà quella la mia strada”. E quale sarà? “Non ho fissato l’appuntamento con i dirigenti. La mia speranza è di poter mostrare ancora il senso di appartenenza al Milan. Non è detto che si debba continuare insieme per forza, ma se accadesse sarebbe bellissimo e io sarei molto felice”.
Iniziando oggi sarebbe possibile fare mille partite in 23 anni? “Sì, perché si gioca di più e ci si allena meglio”. Il suo ritiro è simbolico per molti tifosi che sono cresciuti vedendola giocare e che si accorgono di non essere più giovanissimi: è d’accordo? “Sì, ci ho pensato. Siamo tutti legati al passato. Si dice sempre che 'quei tempi erano diversi'. Vero, ma bisogna anche stare al passo con i tempi”. Ha qualche rimpianto? “Nessuno”. Come si rapporta a suo figlio Christian, piccolo calciatore? “Ho una certa esperienza anche sotto questo punto di vista: ricordo cosa mi dava fastidio e cosa accettavo meglio. A Christian do soprattutto consigli sul comportamento e rispondo alle domande che mi fa. Per il resto, lascio fare ai suoi allenatori che sono bravi”. Paolo, che cosa lascia in eredità? “Il rispetto assoluto per lo sport e per gli avversari. E questo rispetto mi è stato riconosciuto: non sono mai stato insultato o fischiato in modo particolare. Non mi sono creato un personaggio diverso dalla realtà e questo è stato apprezzato dalla gente”.
G.B. Olivero
G.B. Olivero
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