La sua storia in rossonero parla coi numeri. Arrivato bambino da 5 stagioni super nella Dinamo Kiev, Andriy al primo colpo segnò 29 reti, di cui 24 in campionato: il Milan arrivò terzo, ma tanto bastò a vincere la classifica cannonieri. Nel 2000/01 Sheva giunse addirittura a quota 34. Qualche infortunio lo penalizzò nelle due annate successive, chiuse comunque con bottini lussuosi: 17 centri nel 2002, 10 nel 2003.
LA GRANDEUR. Già, 10: un numero che nasconde tante belle cose. Innanzitutto la sua maturazione da stellina di un Milan piccolo a star e uomo squadra dedito anche al gioco di sacrificio in un Milan meraviglioso ed europeo. E poi le 4 euro perle, dal guizzo che meta il Real alla freccia che graffia l'Ajax ai quarti, dal sigillo-finale nell'euroderby con l'Inter al celebre rigore di Manchester. Alla Juventus, in finale: un gol che nei 10 non rientra, ma che dà al Milan la sua sesta coppa dei campioni. Il 2003/04 è il suo anno migliore come totalità e incisività: Sheva come Van Basten, Sheva di nuovo capocannoniere di A (24 gol), Sheva che trascina con Kakà il Milan al 17° scudetto e assume la grandezza di un centravanti immarcabile, capace di sfondare di peso come agendo ai lati, autore di gol d'ogni genere e splendido terminale offensivo. Devastante. Chiude l'anno con 29 reti, sfondando i 100 rossoneri e griffando anche l'1-0 al Porto in Supercoppa. L'anno dopo, anche grazie ai gioielli contro il Barcellona, arriva il Pallone d'oro: 24 centri alla fine e tripletta in Supercoppa italiana. La sua ultima stagione è un'altra messe di reti, 28: 4 in un'unica partita, al Fenerbache. Poi l'addio e l'improvviso declino. La storia è finita li. Come se in mezzo non fosse successo nulla, ora Sheva riallaccia i fili del destino.
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